Un giglio bianco al 4910

Manuela Moschin, Mirella Alberti, poesie.
Siamo di fronte a due mondi che si sfiorano e si cercano, quasi una veggenza che domina madre e figlia e permette loro di attraversare uno spazio-tempo convergente, in grado di far battere i due cuori all’unisono per mezzo della poesia.
Alberti urla soffocata dalle sue catene, per poi cercare la Luce del Signore, riponendo in Lui ogni speranza. E questa nuova e immaginifica dimensione le ha permesso di liberarsi dalla sofferenza terrena, consentendole di attendere con fiducia la rinascita in luoghi dove l’Universo si fa immortale, come in una sorta di ricompensa e rivincita. Moschin canta con voce sottile le sue melodie, spalanca il cuore, manda baci di passione e sorride alla vita, come se il tempo fosse prigioniero dentro una clessidra e obbedisse ai suoi più intimi desideri. Perché per lei la poesia è libertà, un ponte per andare oltre.
Il ricavato della vendita del libro sarà devoluto all’orfanotrofio di Cap-Haitien, situato ad Haiti, tramite l’Associazione di volontariato “Pane Condiviso ODV”. (Prefazione di Paolo Pagliaroli). Opera curata e garantita da Storie di Libri.
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Luciana Benotto: “Versi cesellati”. Un giglio bianco al 4910 titolo direi ermetico, vede due poetesse, madre e figlia, al confronto. Esse hanno due visioni del mondo alquanto diverse, ma sono accomunate da una capacità espressiva davvero notevole, eccelsa, tanto che potrebbero tranquillamente essere inserite nelle antologie scolastiche al pari dei poeti più noti. Mirella Alberti nelle sue delicate liriche esprime un sentire malinconico e doloroso pervaso talvolta da momenti di speranza per i sogni svaniti come cerchi sull’acqua o come foglie portate via dal vento. Un tempo volevo volare ora ho le ali spezzate, scrive infatti. Il suo è un guardarsi dentro per scoprire che il tempo delle speranze è ormai solo un dolce ricordo, come ad esempio un indimenticabile momento d’amore durato una sola notte estiva. Sfumate le aspettative, ormai si sente come un ramo secco, sebbene in alcune poesie riemerge un barlume di luce che le dona un attimo di tregua dagli affanni e dalle disillusioni della vita, vita in cui l’incomunicabilità con l’uomo amato deve averle pesato non poco; sono brevi frammenti di gioia, quella gioia che anela di provare nell’aldilà e che al momento trova nel conforto della preghiera. La Alberti deve aver amato poeti come Montale e Saba, posso anche sbagliarmi, ma certi suoi versi me li ricordano; il primo per come ella tratta lo scorrere del tempo, l’altro per le nitide descrizioni paesaggistiche marine quasi che il lettore, seduto accanto a lei le veda coi suoi stessi occhi. Un diverso sentire è quello di Manuela Moschin, un sentire luminoso in cui la natura accompagna il suo percorso: Vorrei scrivere una poesia allegra, scrive. Nei suoi versi lievi come ali di farfalla e dolci come lo zucchero, lei dipinge alberi, fiori, uccelli, acque, vette montuose, nuvole. Di questa sua natura che molto rispetta, si percepiscono i profumi, si odono i rumori, si vedono i colori, si sentono i sapori come quello dell’uva fragola. Lei canta l’amore, quello romantico, quello appassionato, la gioia dello stare insieme a chi ama nelle sere di ogni stagione. Lei ama la calma, l’assaporare giorno per giorno ciò che la vita offre pur con le sue ombre, ama fantasticare e sognare perché realtà e sogno è bello che si confondano, ama le favole, ama l’armonia, ama scrivere versi preziosi come gemme incastonate nell’oro della sua visione solare della vita.

Autore dell’articolo
Pasquale Cavalera nasce a Galatina il 15 agosto 1983. Nel 2009 si laurea in Ingegneria Meccanica e qualche anno più tardi, dopo aver deciso di concludere la carriera di ingegnere, fonda l’agenzia letteraria Storie di Libri, in cui attualmente ricopre i ruoli di CEO ed editor.